Colpa grave del medico in caso di sintomi aspecifici

Con la sentenza n. 35058/2020, depositata il 10/12/2020, la Corte di Cassazione ha dichiarato che per poter ritenere responsabile un medico per l’inadeguata somministrazione dei farmaci a un paziente sono necessari sintomi specifici.

 

​Il caso

La sentenza giunge in seguito a un caso di condanna per omicidio colposo di un sanitario a cui è stato contestato di aver omesso la somministrazione di farmaci ritenuti necessari ad evitare il tragico epilogo. In seguito il medico è intervenuto in sede di legittimità chiedendo l’annullamento della decisione dei giudici di merito.

Gli ermellini hanno quindi dichiarato la sentenza illegittima definendo insussistente ogni forma di responsabilità sulla base di una considerazione sulla tipologia dei sintomi avvertiti dal paziente.

Questi ultimi infatti non presentavano caratteristiche che potevano ricollegarli direttamente alla patologia che in seguito ha portato il paziente alla morte.

Ne deriva quindi che non necessariamente avrebbero dovuto condurre il medico a seguire un’altra condotta rispetto a quella che è stata posta nel caso di specie, condotta, considerata invece dai giudici di merito fondamento della responsabilità penale del medico.

In altre parole la condotta seguita dal medico non presenta natura colposa in quanto, nel caso di specie, il quadro clinico era caratterizzato dalla presenza di sintomi che non necessariamente potevano essere collegati alla patologia manifestata dal paziente.

 

Responsabilità medica: definiti i criteri per valutare l’operato dei medici.
 

Nella stessa sentenza inoltre vengono delineati i criteri fondamentali, in tema di responsabilità medica, che i giudici devono utilizzare per valutare l’operato di un sanitario.

Ricordiamo che per responsabilità medica si intende quel tipo di responsabilità conseguente a errori od omissioni dei medici che hanno causato dei danni ai pazienti.

Secondo la Corte, nel valutare il nesso casuale tra l’evento e la condotta del medico, il giudizio deve “essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di probabilità razionale"

L’insieme dei criteri consiste in uno schema valutativo obbligatorio che se viene omesso rende la pronuncia passibile di riforma in sede di impugnazione.

In particolare, il giudice nel momento in cui deve giudicare la condotta di un medico deve:

  • indicare se il caso concreto è regolato da linee guida o da buone pratiche clinico-assistenziali;

  • verificare la sussistenza del nesso di causalità, tenendo conto del comportamento indicato dalle linee guida o dalle buone pratiche;

  • specificare se la colpa del medico è generica o specifica e se è una colpa derivata da imperizia, negligenza o imprudenza;

  • verificare se e in che misura il medico ha seguito la sua condotta discostandosi dalle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali.